“Alexandre [Manzoni] a été entrainé par la lecture de Walter Scott à ècrire un roman en prose” scrive Ermes Visconti in una lettera a Victor Cousin del 30 aprile 1821, precisando però la specificità del romanzo, che avrebbe dovuto consistere nel rispetto assoluto del dato storico. Del resto dalla corrispondenza con Claude Fauriel emerge con chiarezza l’interesse di Manzoni per le opere di Scott, che egli aveva letto attraverso le traduzioni francesi a partire dal 1820, ma che pure gli avevano fatto sollevare qualche riserva. Tuttavia, romanzi celebri come Ivanhoe, o meno noti come Il Pirata, diventano parte integrante della cultura letteraria e dell’immaginario dell’autore dei Promessi sposi, che si tradurrà – più o meno consapevolmente – anche nel corredo iconografico della Quarantana.
Dal paesaggio grandioso del castello dell’Innominato “sulla cima d’un poggio che sporge in fuori da un’aspra giogaia di monti, ed è non si saprebbe dire bene, se congiunto ad essa o separatone, da un mucchio di massi e di dirupi” (I promessi sposi, 1840, cap. XX, p. 377), sembra affiorare il ricordo della dimora descritta da Scott nel Pirata, “edificata con le stesse pietre che giacevano sparse nei dintorni, ed esposta per secoli alle vicissitudini degli elementi, […] grigia, provata e consunta come la roccia sulla quale era costruita, e dalla quale poteva a malapena distinguersi, tanto le somigliava nel colore, e tanto poco si discostava, per regolarità della forma, dalla guglia di una scogliera” (The Pirate, 1818, cap. XXVII). Con la medesima precisione topografica, nella corrispondente vignetta di Francesco Gonin il castello dell’innominato si innalza tra “tane e precipizi” “scheggie e macigni, erte ripide, senza strade e nude”, come una presenza ostile che incute terrore, allo stesso modo del suo cupo abitante, restituendoci la dimensione emozionale della pagina di Manzoni, tra scandaglio psicologico e inaspettate aperture liriche.
In uno sfiancante dialogo con tutti gli attori dell’impresa, dall'”ammirabile traduttore” Gonin, allo stampatore Luigi Sacchi e alla sua équipe di incisori francesi, Manzoni aveva progettato le oltre quattrocento vignette che, intercalate nel testo grazie alla modernissima tecnica xilografica, si configurano come elemento della narrazione, in alcuni casi incidendo sul senso del racconto. Se resta ancora irrisolta dalla critica la problematica del destino parallelo del romanziere scozzese e del suo “emulo” italiano in merito alla questione del romanzo storico, tanto presente ai contemporanei di Manzoni, sul fronte visivo con l’allestimento dell’edizione illustrata dei Promessi sposi, uscita a dispense tra il novembre del 1840 e lo stesso mese del 1842, si assiste a una grande novità nell’industria libraria milanese, che comportava – seppure di riflesso – anche una presa di distanza dallo scottismo e dalle sue volgarizzazioni.
In questa prospettiva si colloca la scelta di Manzoni di scoraggiare l’iniziativa della Casa Ricordi, che nel 1827 si proponeva di illustrare i “punti più interessanti della storia” con dodici tavole litografiche da unire ai tre volumetti della prima edizione Ferrario. Scontento della qualità delle immagini dal carattere troppo descrittivo e talvolta ridondante, come osserva Fernando Mazzocca, lo scrittore fu forse ancor più infastidito da “l’ottica decisamente scottiana in cui il romanzo veniva ridotto”, interpretato con un gusto pittoresco, che comportava “il grave pericolo di far[lo] passare […] più come una proposta, che una risposta, italiana allo scottismo”.
Elena Lissoni
Simone Signaroli