Autore: Giovanni Battista Trotti, detto il Malosso (Cremona, 1555 - Parma, 1619)
Data:
Tecnica e supporto: olio su tela
Dimensioni: 204 x 146 cm
Inventario: P 4
Autore: Giovanni Battista Trotti, detto il Malosso (Cremona, 1555 - Parma, 1619)
Data:
Tecnica e supporto: olio su tela
Dimensioni: 204 x 146 cm
Inventario: P 4
La grande tela rappresenta una copia parziale dalla Visione di San Gerolamo (Pala Bufalini) di Parmigianino conservata alla National Gallery di Londra (Inv. NG33; tavola, 342,9 x 148,6 cm), ovvero la parte superiore del dipinto raffigurante la zona celeste con la Vergine nell’iconografia dell’Immacolata Concezione, seduta su uno spicchio di luna tra le nuvole, con il robusto Gesù Bambino in piedi tra le sue gambe. La copia in esame manca, pur nella sua raffinatezza di seconda mano, dell’atmosfericità, della trasparenza cristallina dell’aria e dei passaggi cromatici delicatissimi del capolavoro destinato in origine in San Salvatore in Lauro a Roma. La stesura pittorica è compatta, i colori sono più saturi e glassati, meno vibranti – con il rosa che muta in rosso – i contorni più netti e il chiaroscuro più insistito, con lo sfondo traslucido che si appiattisce irrimediabilmente.
L’opera è stata correttamente riferita a Giovanni Battista Trotti detto il Malosso, il principale pittore cremonese della generazione successiva a quella dei Campi, da Marco Tanzi in una comunicazione orale a Marco Albertario, che ne accetta l’attribuzione (Albertario 2021, p. 28, n. 3). Una scritta sul retro testimonia la provenienza dal convento di Sant’Agostino a Crema (il complesso è oggi sede del locale Museo civico), come alcune delle opere più significative presenti nella raccolta di Luigi Tadini, e solo in seguito alloggiata sulla sponda bergamasca del Lago d’Iseo. La vede nel palazzo di Crema Francesco Boldrini, il pittore vicentino chiamato a restaurare la Pala Manfron di Paris Bordon, il quale vanta le proprie doti di conoscitore attribuendola al Parmigianino e intrattenendo il conte Tadini sulle vicende dell’originale, «comprato da un mio amico pittore inglese» a Città di Castello, con il classico tono di quello che fa vedere di saperla lunga allo scopo di ottenere un’altra commessa ben remunerata (Frizzoni 1903, pp. 353-354). L’attribuzione era stata accolta nella Guida del conte Tadini (1828) e in seguito mai più messa in discussione, malgrado alcune perplessità emerse dai conoscitori di passaggio in Galleria.
Gustavo Frizzoni riproduce la pala londinese nel 1903 a corredo dell’articolo dedicato alla galleria di Lovere, ma si mantiene giustamente sulle sue: «Questa replica si trova appesa nel salone d’ingresso della galleria, ma essendo collocata in alto, sopra una porta, riesce un po’ difficile il decidere se si possa ritenere opera originale, come voleva il Boldrini, o se sia soltanto una buona copia» (Ibidem). La cautela del conoscitore bergamasco è del tutto giustificata, la copia dall’ultimo capolavoro romano del Parmigianino in effetti è davvero buona e tradisce gli accurati caratteri esecutivi e la tavolozza lucida e smaltata del Malosso. La fedeltà del copista è puntuale perfino nei dettagli più minuti e ci si chiede quindi se il cremonese l’abbia vista dal vivo o sia stato piuttosto aiutato dalla traduzione incisa della Pala Bufalini, che tuttavia non può essere la stampa di Giulio Bonasone, perché mostra varianti significative proprio nella figura della Vergine.
Si può in questo senso ipotizzare che il Trotti, nel corso di un viaggio in Umbria per eseguire la grande tela con il Martirio di Sant’Orsola conservato nel Sacro convento di San Francesco di Assisi (eseguita in situ, quindi, e non spedita da Cremona) abbia fatto una sosta a Città di Castello per poter contemplare di passaggio la grande tavola del Parmigianino in Sant’Agostino, dove sarebbe pervenuta, secondo Vasari, dopo essere stata lasciata in deposito per anni in Santa Maria della Pace a Roma.
Quella di Lovere, non è l’unica copia da Parmigianino del prolifico pittore cremonese: nell’inventario post mortem dei beni mobili del Malosso reso noto da Alberto Cadoppi e Federica Dallasta e redatto a cadavere ancora caldo a poche ore dalla morte, l’11 giugno 1619, nella casa del pittore nella vicinia della Santissima Trinità a Parma, compare tra le varie cose un «quadretto con cornice di pioppa finta di noce, et uno filo d’oro, con l’effiggie di san Steffano cavata dall’originale del Parmigianino». Un dipinto perduto – che tra l’altro rientra nell’elenco delle opere confiscate per ordine del duca ma non tra quelle restituite ai familiari – che ricalca uno dei santi ai piedi della Vergine nella pala del Parmigianino per Casalmaggiore, ora a Dresda (Gem√§ldegalerie, inv. 160). Per quanto riguarda l’attività di copista del Malosso, si ricordano anche una Testa di carattere, in collezione privata, che riprende l’alabardiere sull’estrema destra nel Convito in casa di Levi di Paolo Veronese per San Zanipolo a Venezia (Gallerie dell’Accademia, inv. 203) e un San Sebastiano nel Ch√¢teau-Musée di Boulogne-sur-mer, qui attribuito a Maarten de Vos, mentre si tratta ancora una volta del Trotti che replica, in questa occasione, un notevole modello di Bernardino Gatti detto il Sojaro.
Se poi, prima della vendita del 1869, esisteva nella collezione Sommi Picenardi alle Torri una sua copia ora perduta della Trasfigurazione di Raffaello, registrata nel catalogo del 1827, va segnalato che il cremonese riprende anche – o meglio, in questo caso reinterpreta – con varianti la Madonna della rosa di Girolamo Mazzola Bedoli ora a Monaco (Alte Pinakothek, inv. 5289) in una teletta ora in deposito presso il Museo della Città di Rimini; mentre esce senz’altro dalla bottega del Trotti, se non è lui in persona, una versione di dimensioni ridotte, passata sul mercato antiquario qualche tempo fa, della celebre Deposizione di Lattanzio Gambara in San Pietro al Po a Cremona, una delle tele più copiate del pittore bresciano.
Beatrice Tanzi
“4. La Madonna seduta sopra un gruppo di nubi emanando dalla parte superiore del suo corpo raggi di luce: ha il bambino nudo fra le ginocchia, il quale tiene alzata la gamba sinistra, ed è di un effetto mirabile. Opera eccellente di Francesco Mazzuola, detto il Parmigianino.”
Luigi Tadini, Descrizione generale dello Stabilimento dedicato alle Belle Arti in Lovere dal Conte Luigi Tadini cremasco, Milano 1828.
Fonti
Bibliografia
L. Tadini, Descrizione generale dello Stabilimento dedicato alle Belle Arti in Lovere dal Conte Luigi Tadini cremasco, 1828, p. 8 n. 4
G. Frizzoni, Arte retrospettiva: la Galleria Tadini in Lovere, in”Emporium”, XVII, 101, 1903, pp. 343-355.
A. Cadoppi, F. Dallasta, L’atelier del Malosso: tele e disegni fra libri, piante e animali, in Aurea Parma, XCVI, 2012, 1, pp. 87-109
M. Albertario, Per una storia della Pala Manfron nella collezione Tadini, in M. Albertario, B. M. Savy, Il giovane Paris / Il giovane Longhi. La pala Manfron dell’Accademia Tadini tra storia, critica, restauro, [Quaderni dell’Accademia Tadini 5], Milano 2021, pp. 21-33.
B. Tanzi, Cinque stanze per Giovanni Battista Trotti, in «”Storia dell’arte” in tempo reale», 17 ottobre 2022, https://www.storiadellarterivista.it/blog/2022/10/17/cinque-stanze-per-giovan-battista-trotti/ .