Le sei tazze da caffè con piattino provengono da un «giuoco» (un servizio completo di tazze, composto da caffettiera, teiera, lattiera, dodici tazze alte da caffè, dodici tazze basse da té, zuccheriera, ciotola e compostiera) e documentano al meglio la produzione della Real Manifattura delle Porcellane di Capodimonte: lo conferma la marca, un giglio blu, dipinto sotto la tazza e il piattino (E. Poche, I marchi nelle porcellane, La Spezia 1989, nn. 46, 48). La celebre fabbrica voluta da Carlo III di Borbone nell’ambito delle Manifatture reali che dovevano contribuire all’aggiornamento culturale e al progresso economico del Regno delle due Sicilie, era stata aperta nel 1741, ma avrebbe chiuso i battenti nel 1759 con il trasferimento di macchinari e operai in Spagna. Le porcellane state acquistate dal conte Tadini in occasione del viaggio a Napoli nell’ultimo decennio del Settecento avevano già il valore di preziosi oggetti da collezione.
Le tazze hanno forma piuttosto ampia e un manico mistilineo ispirato ai modelli barocchi di Meissen; l’assenza di alloggio per la tazza nel piattino è caratteristica della prima produzione napoletana e conferma la datazione intorno alla metà del Settecento.
Vivaci scenette occupano con grande equilibrio lo spazio disponibile, mentre i bordi sono arricchiti da una raffinata decorazione in oro “a merletto”. La proposta di Alessandra Mottola Molfino (1977) di attribuire la decorazione al pittore Giovanni Caselli è stata condivisa negli studi seguenti che hanno assunto le porcellane loveresi come termine di paragone. Caselli, di origine piacentina, è documentato a Napoli dal 1737 e a Capodimonte dal 1744 al 1752 (Compagnone 1981-1982). A lui si deve l’invenzione del genere “istoriato” a figure piccole sulle porcellane, con scene “da Watteau”, “alla Watteau” o “di genere” (secondo la classificazione proposta da Caròla-Perrotti 1986) ispirate a modelli pittorici mediati da incisioni o desunti da repertori illustrati.
La decorazione presenta vivaci scene di porto con fari, colonne, obelischi e piramidi animate da svelte figurine di soldati, facchini e personaggi in vesti orientali. Pacia (2010) ha individuato in questa produzione una adesione al gusto per l’esotismo che si stacca dalla produzione abituale della manifattura napoletana, tanto da far pensare alla ripresa da modelli ispirati al Settecento francese peraltro ad ora non identificati. A conferma di quest’ipotesi si può citare la lettera dell’ambasciatore napoletano a Parigi che nel 1747 scrive di aver difficoltà a trovare “le figure alla Cinese richieste per servire da modello nella Real Fabbrica di Capodimonte” sul mercato parigino, e suggerisce di cercare ad Augusta e a Norimberga (Minieri Riccio 1880, p. 280; Stazzi 1972, p. 75).
Proprio la rarità del soggetto, che conferma la riconosciuta abilità di Giovanni Caselli per l’invenzione pittorica, e la qualità della pittura fanno di questo piccolo gruppo una testimonianza importante della produzione napoletana e confermano il precoce interesse del conte Luigi Tadini per il collezionismo di porcellane.
Marco Albertario