Nella guida allo Stabilimento di belle arti pubblicata nel 1828, il conte Luigi Tadini (1745-1829) descrive così la Biblioteca:
“Non magnificenza di edizioni, non un numero sterminato di libri formano il pregio di questa libreria, ma bensì la scelta di buone opere, in lingue antiche e moderne, adatte particolarmente all’istruzione della gioventù, e formanti circa sette mila volumi, consacrati all’uso e non al lusso.”
Il motto “Usu, non luxu” ricorre anche sul cartiglio retto da due figure intagliate, un Profeta e una Sibilla, che dominano l’ambiente.
La storia della Biblioteca si ricostruisce, per ora, attraverso i libri che raccontano passioni, interessi, curiosità degli uomini che l’hanno formata. Del figlio del conte, Faustino (1774-1799), si ricordano le frequenti richieste di volumi all’abate Mauro Boni, che per suo conto li acquistava a Venezia; le poche opere che recano il suo nome non consentono per ora di ricostruire un preciso orientamento di gusto.
Si deve al conte Luigi il deciso incremento del patrimonio, anche attraverso l’acquisto di un nucleo di edizioni del Cinque, Sei e Settecento di proprietà della loverese famiglia Gaja.
La cultura del conte spaziava dall’astronomia alla medicina, dalla politica alle belle arti. In campo letterario si nota una decisa propensione per il teatro, con la presenza di opere anche minori o poco note che costituiscono un fondo di particolare interesse. Di questa ampiezza di orizzonti è testimonianza l’inventario manoscritto, dove i volumi sono elencati in ordine alfabetico e topografico, secondo una suddivisione per argomento analoga a quella delle biblioteche – pubbliche e private – del Settecento.
Nel progetto dell’Istituto di belle arti, che prenderà vita nel 1829 alla morte del conte, la funzione educativa della raccolta libraria fu enfatizzata dalla collocazione in una sala attigua al percorso della Galleria, fruibile su richiesta da studiosi e uomini di cultura.
Gli armadi della biblioteca sono scanditi da lettere dell’alfabeto, da A ad O, che corrispondono ad una divisione dei volumi per materie. L’antico ordinamento è restituito dal Catalogo alfabetico degli autori opere dei quali esistono nella Biblioteca Tadini e dal Catalogo delle opere esistenti nella Biblioteca Tadini compilati entro il 1829, e successivamente aggiornati da don Paolo Macario. Il Catalogo delle opere è stato trascritto da Irene Gobbi, Giulietta Guerini, Filippo Michieli e Lorenzo Valenti, ed è consultabile on line. Questo documento restituisce l’organizzazione per materie e apre una serie di percorsi trasversali.
Nel progetto dell’Istituto di belle arti, che prenderà vita nel 1829 alla morte del conte, la funzione educativa della raccolta libraria fu enfatizzata dalla collocazione in una sala attigua al percorso della Galleria, fruibile su richiesta da studiosi e uomini di cultura. La cura e l’accrescimento della Biblioteca erano affidate al direttore.
Don Paolo Macario (1798-1868), singolare figura di prete patriota, apparteneva all’ala più illuminata del clero loverese, come don Giovanni Conti, riconosciuto autore della raccolta di poesie a carattere politico nota come “Pensieri per il libero spirito” o don Geremia Bonomelli, poi vescovo di Cremona e autore del celebre Roma e l’Italia e la realtà delle cose: pensieri di un prelato italiano (1889). La lista degli aquisti che comprende gli scritti di Vincenzo Gioberti e alcuni dei più famosi romanzi dell’Ottocento, dalle opere di Walter Scott a Tommaso Grossi e Alessandro Manzoni, tutti in pregevoli edizioni illustrate, restituisce la sua apertura e il suo aggiornamento letterario.
Anche Garibaldi, ospite di Palazzo Barboglio nei mesi di luglio e agosto 1859, aveva potuto apprezzare la biblioteca dell’Accademia, dalla quale proviene l’edizione dei Sepolcri che comprende anche il carme di Ugo Foscolo, non citato nel frontespizio ma aggiunto a penna (la mano sembrerebbe essere quella del conte Luigi Tadini). Un’iscrizione autografa di Luigi Marinoni sul foglio di guardia spiega che il volume fu letto da Garibaldi mentre era ospite di Palazzo Tadini; l’Eroe vi appose la propria firma autografa.
Nell’agosto 1859, prima di lasciare Lovere per trasferirsi in Toscana, Garibaldi inviava in dono alla biblioteca tre volumi in russo che gli erano stati donati dall’autore: la scoperta è stata possibile grazie all’attenzione di don Macario, che aveva annotato su un biglietto l’origine del dono, e dalla lettura della dedica che compare sul frontespizio dei volumi: “A Sua Eccellenza Osip Domenikevich Garibaldi (Giuseppe, di Domenico Garibaldi), in segno di speciale stima e fedeltà dall’autore. 28 luglio 1859 Torino.”
Enrico Scalzi (1871 -1965) acquistava all’inizio del Novecento un prezioso nucleo di nucleo di prime edizioni dannunziane, forse la testimonianza più significativa della storia del Novecento nelle raccolte della Biblioteca.