La Pala Manfron, capolavoro di Paris Bordon, è esposta a Brescia per la mostra: Il Rinascimento a Brescia. Moretto, Romanino, Savoldo 1512-1552 (18 Ottobre 2024 a 16 Febbraio 2025). L’esposizione a cura di Roberta D’Adda, Filippo Piazza ed Enrico Valseriati, è organizzata e promossa da Comune di Brescia, Fondazione Brescia Musei, Alleanza Cultura.
Allestita presso il Museo di Santa Giulia, la mostra offre l’opportunità di ammirare magnifici dipinti di Moretto, Romanino, Savoldo provenienti da sei musei americani e da importanti collezioni italiane ed europee, per la prima volta in dialogo con preziosi come antichi strumenti musicali, armature, arazzi e piatti in maiolica.
Si tratta di un’iniziativa unica che mira a restituire un quadro complessivo del ‘500 bresciano nella sua totalità, per comprenderne i pensieri, i sentimenti e le personalità che animavano il nostro territorio in quell’epoca. Se da un lato l’attività di Alessandro Bonvicino il Moretto, Girolamo Romanino e Giovanni Gerolamo Savoldo è stata ampiamente esplorata in oltre un secolo di studi, dall’altro è mancato sino a oggi un racconto complessivo del ‘500 bresciano nella sua ricchezza, complessità e, per certi versi, contraddittorietà.
Il punto di vista sarà dunque incentrato attorno a personaggi emblematici, come Fortunato Martinengo, il nobile bresciano ritratto da Moretto nel dipinto conservato alla National Gallery di Londra, o come gli sposi Gerolamo Martinengo e Eleonora Gonzaga per i quali furono organizzati festeggiamenti sontuosi, o ancora protagoniste di una “rivoluzione” al femminile come Angela Merici. La poesia, la natura, la musica, l’amore, la fede, il desiderio, la ricerca sono al centro di questo inedito racconto per opere, che prende avvio dall’evocazione del Sacco del 1512, che portò Brescia all’attenzione dell’intera Europa.
La Pala Manfron, legata alla vicenda di un condottiero della Serenissima caduto durante le Guerre d’Italia, apre il percorso espositivo, rievocando gli anni nei quali le nuove armi da fuoco ponevano definitivamente fine al mondo cavalleresco sul quale Ludovico Ariosto gettava uno sguardo disincantato nelle pagine dell’Orlando Furioso.