Lady Mary Wortley Montagu (1689-1762) è stata una delle figure femminili più rappresentative del Settecento inglese ed europeo. Nata in una famiglia della grande aristocrazia britannica, sin da giovanissima aveva unito a un’intelligenza vivace, e la passione per lo studio e per le scoperte intellettuali a un carattere libero e poco convenzionale. Queste doti, unite alla bellezza, fecero di lei una delle protagoniste più fascinose, e senz’altro una pioniera, della cultura illuminista. Già all’inizio del suo romance amoroso scriveva al futuro marito Edward Wortley Montagu, allora giovane politico dalle brillanti speranze : «Quanto al viaggiare, è proprio ciò che farò con gran piacere, e potrei facilmente lasciare Londra se questa sarà la vostra iniziativa» (lettera del 25 aprile 1710).
Il suo spirito di avventura ebbe modo di realizzarsi nell’esperienza del lungo viaggio che intraprese nel 1716 verso l’Oriente assieme al marito, nominato ambasciatore britannico presso la Sublime Porta, soggiornando dapprima in varie capitali europee e balcaniche, infine, per ben due anni, a Istanbul (1717-1719). Le lettere scritte in quel periodo ad amici e congiunti mostrano un inesauribile interesse per gli aspetti più vari: il paesaggio e la cultura, l’architettura e l’immagine urbana, l’arte e l’archeologia, la società e i costumi, la moda e l’abbigliamento, le pratiche femminili e quelle della salute del corpo. Un’ampia selezione delle sue lettere orientali (le cosiddette Embassy Letters), pubblicata anonima nel 1763 solo dopo la morte di Lady Mary, fu immediatamente tradotta in molte lingue europee. Il pubblico recepì quelle lettere come il primo autentico resoconto moderno sulla cultura islamica e ciò ebbe un’enorme e duratura influenza sull’immagine dell’Oriente mediterraneo.
La crisi del suo matrimonio, la disillusione per il mondo londinese in cui era stata a lungo immersa, assieme all’inevitabile declino della sua leadership mondana, spinsero ancora una volta Lady Mary a mutare il corso della propria vita e a fare una scelta radicale. Nel 1736 aveva conosciuto un giovane e affascinante intellettuale italiano, il conte Francesco Algarotti, giunto a Londra per dare l’ultima mano al suo celebre saggio, Il Newtonianismo per le dame ovvero Dialoghi sopra la luce e i colori (Napoli, 1737). Un legame “impossibile” nutrito in lei dall’aspirazione a un’unione amorosa e intellettuale, quale quella, in un certo senso esemplare, tra Voltaire e Madame du Ch√¢telet.
Per questo sogno, che si rivelò infine irrealizzabile, Lady Mary lasciò l’Inghilterra. Un lungo autoesilio (1739-1761) che la portò a risiedere in Francia e soprattutto nel nord dell’Italia, per una decina d’anni a Brescia e nei dintorni (1746-1756). Il clima della bassa bresciana non era tuttavia il più adatto alla sua salute, a tal punto che il suo medico di Gottolengo le consigliò un soggiorno a Lovere, allora rinomata per la qualità dell’aria e delle sorgenti termali.
A Lovere Lady Montagu giunse per la prima volta nel luglio 1749, prendendo alloggio in una grande casa in contrada Ratto, di proprietà della nobile famiglia Bosio e allora gestita come locanda. Iniziò subito la terapia, attenendosi alle prescrizioni del dottor Baglioni, medico di Lovere da lei molto apprezzato, alle cui cure si affidò anche negli anni successivi.
«I am now in a place the most beautifully Romantick I ever saw in my life…» Così esordiva, appena arrivata, nella lettera alla figlia in cui descriveva con entusiasmo il centro urbano (da lei definito a volte “città”) e il paesaggio tutt’intorno (24 luglio 1749). Difficile tradurre questo beautifully Romantick, se non rammentando che all’epoca agli occhi di Lady Mary, come di tutte le persone colte, l’indebita associazione rappresentasse di fatto un ossimoro: in linea di principio “romantico” faceva riferimento a “romanzo”, e quindi “romantico” equivaleva a “gotico”, termini che allora si usavano per indicare il contrario di quella che nel francese internazionale si definiva politesse. Qualcosa di rude, quindi, di non levigato (poli), al quale tuttavia in quegli anni si sarebbe cominciato a dare un valore di forza emotiva, di autenticità affettiva e di inesprimibile bellezza. Questo stigma di modernità non era tuttavia affatto corrente quando Lady Mary scopriva la “bellezza inquietante” di Lovere, le sue colline e le montagne riflesse nel colore, per lei prima inimmaginato, delle acque del lago (alla figlia Lady Bute, 23 giugno 1754). «Mi alzo presto, prendo l’aria sulle acque del lago tutte le sere, e di solito sbarco in qualche punto delle rive e sempre trovo qualche nuova passeggiata tra i monti, che sono coperti di vigne e di alberi da frutta, frammisti a diverse cascate naturali, e abbelliti da una varietà di bei panorami… » (alla figlia Lady Bute, 5 settembre 1749).
Lady Mary tornò più volte a Lovere: dapprima per i soggiorni estivi, quello del 1749 e nelle due stagioni successive, del 1750 e del 1751: «…di nuovo a Lovere, dove i dottori mi hanno trascinata e vi ritrovo molta più compagnia di prima … » (lettera non datata, ma del luglio 1751). Dopo due anni di interruzione, nel 1754 le sue aggravate condizioni di salute la costrinsero ad affrontare di nuovo un soggiorno di cura lungo e ininterrotto. Così decise di acquistare per interposta persona a un’asta, e di ristrutturare parzialmente, un antico palazzo nobiliare piuttosto malandato, ma «con un graziosissimo giardino a terrazze fino al lago e una corte dietro la casa» diventando – come lei stessa scrisse alla figlia (23 giugno 1754) – cittadina di Lovere. In questa casa prospicente il lago (forse l’attuale Palazzo Marinoni), dove traslocò da Gottolengo alcuni arredi, rimase sino all’autunno 1755.
La sua presenza deve aver contribuito non poco al lancio di un “turismo” elegante. Difficile dire, in mancanza di testimonianze, quanto Mary Wortley Montagu contribuì a stimolare l’ambiente della upper class loverese, certo non arretrato dal punto di vista della cultura musicale e anche di quella tecnica e scientifica. Era l’inizio della rinascita economica e, con essa, dell’avvento della Lovere borghese, illuminata e all’avanguardia nel progresso manufatturiero, che avrebbe dato un contributo fondamentale alla cultura industrialedell’Ottocento e al Risorgimento nazionale.
Da qui il mito della “milorda inglese”, sancito nella biografia tracciata da monsignor Luigi Marinoni, tra i suoi primi biografi italiani, al quale si deve anche la segnalazione di un importante ritratto proveniente da palazzo Bazzini, ora di proprietà della parrocchia di Santa Maria Assunta a Lovere, l’unico noto che la ritragga in età avanzata.
Maria Ines Aliverti